14 aprile 2008

Ciao Gino


A Marzo è morto un importante UOMO DI STORIA, Gino Donè, l'unico italiano che ha avuto la "fortuna" di partecipare allo sbarco del "Gramna" a Cuba nel Dicembre 1956. Insieme a Fidel Castro, Ernesto Guevara ed altri 80 Compagni diedero inizio alla Rivoluzione Cubana. Alla faccia di tutti i governi americani infami che si sono succeduti fino ad oggi!!!!
Voglio dedicare a tutti i Compagni Rivoluzionari l'intervista a Gino Donè di Maria Calderoni fatta in Ottobre del 2006.


M.C.

Un cronista, con il suo cuore mestierante, non dovrebbe dirlo, ma io lo dico lo stesso. Sto scrivendo della tua morte improvvisa, Gino, e sto piangendo. Addio, grande e bel "granmista", l'unico italiano, anzi l'unico europeo, che era a bordo della storica ancorché sgangherata barca che, quel giorno di dicembre 1956 ha compiuto il miracolo del "Desembarco" e ha dato inizio a quella missione impossibile che a Cuba doveva chiamarsi revolucion (quella che incredibilmente dura tuttora, alla faccia Usa).
Gino, Gino Donè, lo avevo sentito poco tempo fa, e anche a Natale per gli auguri; diceva che sì, ultimamente non era stato troppo bene, e dopo tutto, ostia, «lo sai, ho gli stessi anni di Castro, mica pochi».
Credo di essere stata l'unica giornalista ad intervistarlo, nell'ottobre del 2006; lo avevo "intercettato" quasi per caso, leggendo un articolo sul Granma (eh sì io leggo il Granma ...) seduta a un tavolo del bar cubano a una festa di Liberazione . Scoprendo che era vivo tra noi uno degli 82 partecipanti della "Spedizione" castrista, uno dei 13 ancora superstiti; e l'unico italiano, Gino Donè.
Rapido giro di telefonate, Gino non solo esiste, ma ha anche un cellulare. Prendo il treno e vado da lui. A San Donà di Piave, dove abita. Lo incontro al bar Borsa, davanti alla sua "ombra" di vino rosso. Alto, dritto, ancora biondo, giovani occhi azzurri, barba alla Hemingway, sorriso. Non ci crede, «sei venuta da Roma apposta per me, ma benedetta...». Mentre parliamo, qualcuno lo chiama al cellulare, «sai sono qui con una giornalista, simpatica, una ficcanaso».
Ne era uscita una pagina di giornale. Un personaggio, un pezzo vivente di Storia, ma lui è semplice, schivo, non esibisce ma si cela, porta tutti i suoi ricordi con sé, con forza e ironia. La sua casa, profumata di Cohiba, è un piccolo, ordinato museo, bandiere cubane e partigiane, il Che, Castro, Raul giovane, il manifesto per Frank Paris, uno dei primi caduti del "Desembarco", anche una foto con dedica di Frida Kahlo.
La sua romanzesca, semplice vita - «ho solo fatto quello che andava fatto, ostia» - me l'aveva raccontata nella sua parlata dolce, un misto di veneto e spagnolo, con qualche tocco d'inglese.
Gino Donè, classe 1924, nasce a Treviso da una famiglia di braccianti. «Mia madre - dice - era educata, proletaria, antifascista, un po' atea. Anche il fratello di mia mamma era antifascista, ha dovuto rifugiarsi in Francia, è rientrato dopo la Liberazione. Mio papà era gentile e intelligente, sapeva leggere e scrivere e ha imparato a fare il meccanico».
Gino, bambino povero, fa le elementari a San Donà, «non ho studiato, non ho diploma, facevo le commerciali per corrispondenza».
L'8 settembre coglie Gino sotto e armi, a Pola, 74mo fanteria; vive la tragedia dei soldati italiani nell'Istria occupata dai tedeschi. Tra difficoltà di ogni genere e rischiando la pelle - grazie anche alla solidarietà della «famiglia Finnoto, generosa, generosissima» - il soldato Donè riesce a sfuggire ai nazi che danno la caccia agli sbandati e ad entrare in contatto con la missione Nelson e con il gruppo partigiano del comandante Guido. Per la sua battaglia nella Resistenza riceverà un encomio firmato gen. Alexander.
Viene il difficile '45. Dopo varie vicissitudini, da ragazzo "ribelle" qual è - «io mi dico anarchico» - prende la via dell'emigrazione, Belgio, Olanda, Germania, facendo mille mestieri, compreso il minatore.
Poi una notte - «sarà stato il '49» - si imbarca su un nave della Lauro («si chiamava Sibilla») diretta a Cuba. E' la scelta della sua vita. Sull'Isla gira un po' dappertutto, e infine arriva all'Avana, «l'Avana era bella, ah se era bella, faceva resuscitare pure le mummie». Entra subito in contatto con gli studenti rivoluzionari e gli ambienti che ruotano intorno a Castro. Incontra e sposa una ragazza "fidelista" della prima ora - «passavamo ore sulle scalinate dell'Università a sentire Fidel»; e quando l'assalto alla Caserma Mocada fallisce e i due fratelli Castro, dopo il processo e il carcere, vengono mandati in esilio in Messico, è lui che, grazie al suo passaporto straniero, ha l'incarico di fare da staffetta tra i leader al confino e la resistenza anti Batista a Cuba. Comunista, socialista? E lui mi aveva risposto: «No, proletario».
Viene il tempo del Granma e lui parte con loro, gli ottantadue, con pochi viveri e armi comprate segretamente. Sono tutti cubani, tranne tre, lui li ricorda bene: oltre se stesso, «il messicano Alfonso Guillén Celaya, il dominicano Ramon Mejias de Castillo, e un argentino, un medico, Che Guevara».
Quella traversata, Gino la ricorda bene. Era una imbarcazione «da ricreo», da crociera, così lui l'aveva chiamata, e chissà come ha fatto a non affondare nel golfo del Messico e nelle tempeste del Mar dei Caraibi. Dovevano stare in mare tre giorni e invece il viaggio durò più del doppio. Ma alla fine siamo sbarcati, «non nel punto giusto, ma siamo sbarcati».
Li ricordava tutti molto bene i suoi compagni del Granma. «Erano tutti quasi ragazzi e in maggioranza studenti. Che Guevara era tra i più giovani, insieme a Arsenio Garcia, uno che è ancora vivo, uno con la mente chiara. Il Che aveva una carica straordinaria, aveva qualcosa di magnetico. Gli volevo bene». Ma sul Granma «non aveva la barba e non si chiamava ancora Che, lo chiamavamo Ernesto». E Castro? «Era già avvocato, un grande oratore. Intelligente, un cervello elettronico. Sapeva prendere le sue decisioni, ma mai con spavalderia. Una persona generosa». Anzi, «un bondadoso», lui l'aveva chiamato così, quel giorno.
Dopo aver descritto il "Desembarco", quel giorno dell'intervista Gino aveva calato il sipario. Dissolvenza, bloccate le domande. «Abbiamo fatto ognuno la sua parte. Io ero il più indicato a fare quello che sulla Sierra non avrei potuto fare. Chi con le armi, chi senza armi ognuno ha fatto quello che doveva fare. E anch'io», ostia.
Addio, dolcissimo Gino.




This page is powered by Blogger. Isn't yours?